Fondo Nuove Competenze: un’opportunità per aziende e lavoratori

Meno ore di lavoro, più tempo da dedicare alla formazione e alla riqualificazione. Il Fondo Nuove Competenze, introdotto con il decreto “Rilancio”, consentirà alle aziende di rimodulare l’orario lavorativo per le diverse esigenze organizzative e, parte di questo orario, potrà essere utilizzato per consentire al personale di formarsi e aggiornarsi. Un percorso alternativo alla cassa integrazione che permetterà uno sviluppo delle competenze ma che punta anche ad aumentare l’occupabilità. Ma è anche una necessità, visto che i dati Ocse mostrano un’Italia con il numero di Neet (giovani che non lavorano e non studiano) tra i più alti in Europa e un minore investimento delle imprese nella formazione (0,3% contro l’1% della Francia e il 2,5% del regno Unito).
Come funziona il Fondo Nuove Competenze
Le aziende per accedere al Fondo Nuove Competenze devono entro il 31 dicembre 2020 sottoscrivere un accordo collettivo di rimodulazione dell’orario di lavoro e allo stesso tempo devono presentare dei progetti formativi. Bisognerà poi inviare l’istanza di contributo all’Anpal. Sarà lo Stato a finanziare questa attività di riqualificazione, che consentirà ad imprese di ogni settore e dimensione di rivedere l’orario di lavoro dei dipendenti e di utilizzarlo, in modo temporaneo, per la formazione. Tutto questo perché le esigenze organizzative e produttive sono appunto mutate con la pandemia da Coronavirus.
I fondi interprofessionali come FondItalia possono partecipare al “Fondo Nuove Competenze” con azioni di formazioni o pubblicazione di avvisi per la concessione di finanziamenti anche a nome e per conto delle imprese aderenti al fondo stesso.
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Doppio vantaggio
Ogni lavoratore potrà destinare 250 ore all’acquisizione di nuove competenze, un’occasione che porterà benefici sia al personale dipendente che all’azienda. Le imprese, infatti, non avranno costi da sostenere vista la sovvenzione totale da parte dello Stato, e il lavoratore non subirà diminuzioni nella retribuzione, come avverrebbe nel caso della cassa integrazione. Un doppio vantaggio, quindi, economico e formativo.
L’Italia vista dall’Ocse
Il numero di Neet (giovani che non lavorano e non studiano) in Italia è tra i più alti in Europa, a dirlo sono i dati dell’Ocse (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), che indicano la performance di studio degli giovani italiani sotto la media. I dati Ocse mostrano anche un minore investimento delle imprese nella formazione (0,3% contro l’1% della Francia e il 2,5% del regno Unito). È un problema sia di bassa offerta di competenze da parte dei lavoratori, ma anche di domanda da parte delle imprese, che si riflette in una produttività che non cresce e in salari che stazionano. La formazione dovrebbe accompagnare le persone durante tutto l’arco della vita, ma in Italia l’apprendistato e l’acquisizione continua di nuove competenze riguardano ancora poche persone.
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