I costi dello smartworking forzato

Articolo redatto da Osservatorio FondItalia
Il 2020 è iniziato con la diffusione del Coronavirus, che dalla Cina ha contagiato il resto del mondo in meno di tre mesi. Quasi la metà della popolazione mondiale è rinchiusa in casa. Imprenditori e impiegati di tutto il mondo fronteggiano un’emergenza anche professionale. Lavorare da casa non sempre è possibile, servono innanzitutto i mezzi di comunicazione: telefoni, computer, rete internet. Questi tre strumenti sono necessari ma non sufficienti. Sono la base materiale – l’hardware – a cui si aggiungono altri ingredienti fondamentali: i software. Facebook, Instagram, Whatsapp, Zoom, Google Meet, Microsoft Teams, Houseparty, FaceTime, Skype… la lista di strumenti per organizzare chiamate, videoconferenze e lezioni online è molto lunga e ogni applicazione ha una diversa utilità.
Smartworking: tutti gli strumenti necessari
Altri due sono tuttavia gli ingredienti che pesano più degli hardware e dei software: organizzazione e risorse economiche. È infatti necessario avere un piano di lavoro ordinato e soprattutto un buon abbonamento con un gestore telefonico per far funzionare lo smartphone e per avere una buona connessione internet di casa dove si collega il computer; poi servono tanti altri abbonamenti per far funzionare le app che ci permettono di comunicare con il mondo esterno – molte di queste app non chiedono soldi ma dati personali per poter funzionare, questa però è un’altra storia.
Il primo elemento che emerge da questa breve riflessione è che lo smartworking ha un costo economico molto alto per il lavoratore, sia esso imprenditore o impiegato, nonostante stia “a casa”. Il secondo elemento che emerge è che, volente o nolente, oggi il lavoratore deve lavorare da casa, non può scegliere, almeno per le prossime settimane, senza una data certa su quando poter tornare in ufficio. Per molte aziende, dopo questa fase che non ha una data di fine, si paleserà una scelta molto difficile da fare. In quelle aziende dove il tipo di lavoro permette di trovare il modo di lavorare da casa, gli imprenditori dovranno scegliere se sarà più economico far tornate tutti in ufficio, oppure chiedere a una parte dei propri dipendenti di decidere se lavorare da casa. Per questi imprenditori e per quei lavoratori a cui sarà concessa una scelta, può essere utile riflettere in anticipo sulla domanda: voglio continuare a lavorare da casa dopo la pandemia?
Il sondaggio di Buffer
Consultando i recenti sondaggi realizzati da Buffer (per approfondire The 2020 State of Remote Work), si può trovare una statistica che ogni anno resta inequivocabile: i lavoratori a distanza vogliono quasi all’unanimità continuare a lavorare a distanza per il resto della loro carriera.
Nel 2020, il 98% degli intervistati è favorevole al lavoro da casa. Dalle risposte, sembra che dopo aver provato il lavoro a distanza tende a raccomandarlo agli altri (circa il 97% degli intervistati). Quindi, secondo i dati raccolti [poco prima della pandemia], la maggior parte delle persone che lavorava a distanza avrebbe voluto continuare a lavorare a distanza in qualche modo. Ammesso che questo periodo di reclusione coatta non gli farà cambiare idea, cerchiamo di definire meglio il concetto di “lavoro da casa”. Prima del Coronavirus, lavorare da casa non era sinonimo di reclusione forzata 24 ore su 24. Tra gli intervistati nel sondaggio, la netta maggioranza (57%) era costituita da lavoratori a distanza a tempo pieno. Circa il 27% di loro lavorava a distanza per più della metà del proprio tempo e il gruppo più piccolo (18%) lavorava a distanza per meno della metà del proprio tempo. Il 70% ha indicato di essere soddisfatto della quantità di tempo che lavora a distanza, il 19% vorrebbe lavorare a distanza più spesso e l’11% vorrebbe lavorare a distanza meno spesso.
In conclusione, non vanno dimenticati i problemi che arrivano con il lavoro a distanza. Anche se variano da persona a persona, negli ultimi tre anni di pubblicazione di questo rapporto, i principali aspetti negativi dello smartworking sono due: la difficoltà di comunicare/collaborare e la solitudine. Il vantaggio principale del lavoro a distanza, rimasto lo stesso per gli ultimi tre anni consecutivi nel sondaggio, è la flessibilità.
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