I lavoratori cercano un cambiamento: aumentano le dimissioni volontarie

Fra le tendenze di medio periodo messe in moto dalla pandemia, non ci sono soltanto lo smart working, il lavoro ibrido e il lento ma inesorabile abbandono delle grandi e affollate metropoli a favore di città di provincia, dove la vita costa meno e per spostarsi da un punto all’altro, spesso, basta semplicemente camminare. Da qualche mese si osserva un fenomeno per certi versi inedito, quantomeno nella sua portata: le dimissioni volontarie.
Alla ricerca di un miglioramento
Sono molti i lavoratori che emergono dall’emergenza sanitaria ed economica che stiamo sperimentando con un’idea dell’equilibrio fra benessere psicofisico e lavoro totalmente rivoluzionata, con un’evidente propensione verso il primo aspetto: le persone cercano un’occupazione magari più gratificante o da svolgere da remoto, meglio retribuita o che assicuri più tempo libero. E per questo sono disposti a mollare il posto di lavoro alla ricerca di qualcosa di meglio, o quantomeno di diverso. La tendenza, conosciuta negli Stati Uniti come The Great Resignation, si sta facendo strada anche in Italia: tra aprile e giugno 2021, si sono infatti registrati quasi 500mila dimissioni (290mila uomini e 190mila donne), con un aumento del 37% rispetto ai tre mesi prima. Se si confronta, invece, il medesimo trimestre del 2020, l’incremento è dell’85%.
I dati dell’Associazione direttori del personale
E a confermare questo pivot verso una fase nuova dell’esperienza lavorativa arrivano anche i numeri dell’Aidp (l’Associazione dei direttori del personale), secondo cui, su un campione di circa 600 aziende, il 60% «è coinvolta dal fenomeno delle dimissioni volontarie e nella maggior parte dei casi (il 75%) sono state colte di sorpresa». Un dato che fa riflettere: le aziende devono prendere consapevolezza e alla svelta delle mutate esigenze dei lavoratori, offrendo una prospettiva nuova e apportando cambiamenti necessari se vogliono trattenere i talenti, soprattutto quelli giovani. Secondo l’indagine Aidp, infatti, il fenomeno delle dimissioni volontarie vede particolarmente coinvolte le fasce d’età dei 26-35enni e a seguire, chi ha tra i 36 ed i 45 anni, per la maggior parte impegnati in mansioni impiegatizie (l’82%) e residenti nelle regioni del Nord Italia (79%).
La ripresa dell’occupazione (48%), la ricerca di condizioni economiche più favorevoli in altra azienda (47%) e l’aspirazione ad un maggior equilibrio tra vita privata e lavorativa (41%), si legge nella ricerca, sono, secondo l’Aidp, «le tre ragioni principali che sono alla base della crescita esponenziale delle dimissioni seguite, subito dopo, dalla ricerca di maggiori opportunità di carriera (38%)», ma c’è pure un 25% che «ha indicato la ricerca di un nuovo senso di vita e il 20% che ha imputato ad un clima di lavoro negativo interno all’azienda la ragione delle sue dimissioni».
La formazione può essere un magnete
Da un sondaggio LinkedIn in corso emerge come le dimissioni siano “contagiose”: i lavoratori sembrano essere più propensi a lasciare il lavoro quando un collega fa altrettanto. In questo senso la formazione dei lavoratori, la possibilità per loro di acquisire nuove competenze per svolgere le proprie mansioni ma anche per aspirare a posizioni di più alto livello in azienda, è senz’altro uno dei magneti che le imprese possono utilizzare per arginare il fenomeno. All’interno del nuovo Avviso FEMI 2022.01, FondItalia ha ritenuto prioritario intervenire, fra le altre, su tematiche decisive per le nuove competenze lavorative quali, lo sviluppo delle abilità personali, l’introduzione di elementi di innovazione tecnologica, l’incremento della conoscenza del contesto lavorativo e delle competenze linguistiche, il supporto all’internazionalizzazione e alla green economy.