La rivoluzione 4.0 e gli inevitabili cambiamenti nella formazione e nella tecnologia

Dove sta andando l’industria italiana? A questa domanda ha provato a rispondere un Rapporto presentato da Confindustria a Milano, che ha messo in evidenza il rallentamento della manifattura mondiale, dove l’Italia si presenta come settima potenza. Nonostante il nostro Paese stia vivendo un momento di incertezza, sia sul piano politico che economico, e stia provando ad uscire da un lungo periodo di crisi, i dati di questo Rapporto mettono in evidenza alcuni elementi di positività per quanto riguarda lo sviluppo dell’industria.
Gli incentivi: l’iperammortamento piace alle aziende
Secondo il rapporto di Confindustria, i dati sugli incentivi per trasformare la manifattura tradizionale in una 4.0 evidenziano che le piccole e medie imprese hanno investito più delle grandi in attrezzature e macchinari.
L’Italia è riuscita, almeno in parte, a recuperare il gap rispetto agli altri paesi europei grazie all’iperammortamento in vigore dal 2017. Questa manovra ha favorito, infatti, l’investimento in beni strumentali e quindi la trasformazione digitale.
Sono stati ben 10 i miliardi di euro investiti in macchinari 4.0 e a farlo sono state soprattutto le imprese manifatturiere (86,3%, di cui il comparto del metallo con il 26%, poi meccanica strumentale e chimica con il 9%) di piccole e medie dimensioni (66,7%), quindi con meno di 250 dipendenti.
Una percentuale che si attesta intorno al 35% se consideriamo le imprese con meno di 50 dipendenti.
Per quanto riguarda la localizzazione, le imprese che hanno aderito a queste politiche sono quasi tutte del Nord (82,1%) ed in particolar modo la Lombardia (35%). Un dato che scende nettamente per le imprese collocate al Sud.
Crescere, formarsi e guardare al futuro
Ciò che emerge da questi dati è l’importanza per le industrie di guardare ad un mercato globale in cui essere competitivi.
È chiaro che per fare questo c’è bisogno di politiche economiche interne ed europee in grado di favorire la trasformazione digitale e la crescita. Politiche di intervento che rendano le industrie italiane ed europee al livello delle concorrenti mondiali.
La digitalizzazione porterà a una riforma dell’istruzione
Ma tutto questo porta anche a una ulteriore domanda: le aziende italiane sono pronte ad accogliere i cambiamenti e affrontare nuove sfide? Un’indagine di Deloitte, che ha intervistato più di 100 C-level executive delle principali aziende italiane, mostra da una parte la fiducia e dall’altra l’incertezza di imprese e manager su digitalizzazione e preparazione personale, pur nella consapevolezza dei cambiamenti che stanno avvenendo.
Questo perché nel nostro Paese c’è una visione più nel breve periodo che nel lungo e, dunque, i cambiamenti tecnologici hanno minor presa soprattutto se si parla di intelligenza artificiale (3%). C’è invece una maggiore attenzione a ciò che riguarda soluzione mobili (64%), cloud (51%) e robotica (29%).
E si spende ancora troppo poco per la formazione (il 18% degli investimenti, mentre il dato internazionale è del 40%).
«Il dato di fatto è che si investe ancora troppo poco in formazione – dichiara il presidente di FondItalia Francesco Franco – ma per affrontare i cambiamenti costantemente in atto nel mercato è necessario che le aziende formino i propri dipendenti».
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