L’automazione del lavoro: i rischi per l’Italia

“Se gli uomini hanno il talento di inventare nuove macchine che lasciano gli uomini senza lavoro, allora hanno anche il talento per riportare questi uomini al lavoro”. Questa incoraggiante citazione di John Fitzgerald Kennedy introduce alla lettura del volume di Mariasole Bannò, Emilia Filippi e Sandro Trento, Automazione e lavoro. Una ricerca su cambiamento tecnologico e impatto sull’occupazione (Egea, Milano 2023).
Il volume si apre con una riflessione di carattere storico sul rapporto tra progresso tecnologico, crescita economia e occupazione, ricordando i timori suscitati nei lavoratori sin dalle innovazioni introdotte dalla prima rivoluzione industriale. Ma se nel passato le macchine rappresentavano più un supporto dell’attività umana, oggi il combinato disposto rappresentato da intelligenza artificiale e robotica ha l’obiettivo di sostituire l’apporto di manodopera, minacciando anche i lavori di ufficio e intellettualmente più complessi. Come sottolineano gli autori: «la linea di demarcazione tra la capacità del lavoro e quella del capitale sta sfumando come mai prima d’ora». Paradossalmente, nelle ipotesi più avveniristiche, il datore di lavoro potrebbe non aver più bisogno, o aver bisogno solo in forma esigua, di collaboratori umani.
Le conseguenze di queste innovazioni hanno aperto un serrato dibattito all’interno della comunità scientifica. Al riguardo, è opportuno sottolineare che al momento ogni ragionamento è basato su dati che possono offrire risultati diversi a seconda dell’impostazione che hanno le indagini condotte. Inoltre, parliamo di “previsioni”. Come già evidenziato dal Rapporto OCSE 2023 dedicato all’impatto dell’intelligenza artificiale sul lavoro, ad oggi gli effetti sull’occupazione non sono ancora evidenti. Il futuro, dunque, non è già scritto e perciò è opportuno ampliare la conoscenza sui fenomeni in atto. 

Il pericolo di automazione in Europa

Il volume di Bannò, Filippi e Trento, ricollegandosi a diverse indagini scientifiche condotte a livello internazionale, offre un quadro comparato sui rischi di automazione in Europa e negli Stati Uniti.  Ci ricorda come le attività lavorative che non possono essere automatizzate siano collegate alla percezione e alla manipolazione, necessitino dell’apporto dell’intelligenza cognitiva e dell’intelligenza sociale.
Di conseguenza, i Paesi dove assumono maggiore importanza le attività lavorative legate alla comunicazione (ad esempio Stati Uniti e Regno Unito) presentano una probabilità di automazione minore rispetto ai Paesi dove queste attività lavorative sono meno importanti (Italia e Germania).
Ma a determinare il rischio di automazione sono anche gli investimenti effettuati in passato in questo tipo di tecnologie.
I Paesi con una probabilità di automazione maggiore presentano un potenziale di automazione non ancora sfruttato, mentre i Paesi con una probabilità minore hanno già effettuato investimenti significativi in tecnologie di automazione.
In Europa, le regioni più a rischio si concentrano nella fascia orientale, nell’area mediterranea e nelle regioni occidentali, mentre le più protette sono quelle dei Paesi settentrionali, del Regno Unito e della Francia.
La probabilità di automazione a livello regionale è influenzata da diversi fattori, quali la struttura occupazionale, il livello di disoccupazione, la maturità e la diversità industriale, nonché la densità di popolazione. Ad esempio, le regioni specializzate nell’industria manifatturiera, con un alto livello di disoccupazione, meno sviluppate, con un alto livello di diversità industriale e una maggiore densità di popolazione, corrono un rischio minore.
I settori con un’alta probabilità di automazione includono l’agricoltura, l’industria manifatturiera, le operazioni commerciali e finanziarie, il commercio e il settore dei trasporti. Invece i settori con una bassa probabilità di automazione abbracciano l’istruzione, la sanità e la pubblica amministrazione.
Il settore dei servizi è generalmente meno minacciato dall’automazione, poiché le attività lavorative fisiche prevedibili sono meno frequenti.
La tabella seguente mostra le cinque classi professionali più e meno esposte all’automazione secondo l’occupation based-approach e il task based approach.
In base all’occupation based-approach intere occupazioni possono essere automatizzate, mentre per il task-based approach solo alcune attività presentano questa possibilità.
Secondo i due approcci, le classi professionali meno esposte all’automazione includono «ingegneri, architetti e professioni assimilate», «specialisti della salute» e «specialisti nelle scienze della vita». Si tratta di professioni caratterizzate da livelli elevati di intelligenza creativa e sociale. Invece le classi professionali più esposte all’automazione includono «impiegati addetti alle funzioni di segreteria e alle macchine da ufficio», «operatori di macchinari fissi in agricoltura e nella industria alimentare», «conduttori di veicoli, di macchinari mobili e di sollevamento» e «operai semiqualificati di macchinari fissi per la lavorazione in serie e operai addetti/e al montaggio». Si tratta di professioni caratterizzate da attività lavorative automatizzabili quali lo scambio di informazioni.

Fonte: Mariasole Bannò, Emilia Filippi e Sandro Trento, Automazione e lavoro. Una ricerca su cambiamento tecnologico e impatto sull’occupazione, Egea, Milano 2023, p. 63

A livello di impresa, ci si attende che il ricorso all’automazione dei processi e delle funzioni sia più probabile nelle imprese di grandi dimensioni, che hanno la capacità economica per investire cospicuamente in nuove tecnologie, oppure all’interno di imprese che stanno iniziando un processo di innovazione tecnologica.
Al contrario, la proprietà familiare potrebbe rappresentare un argine alla disoccupazione tecnologica, in considerazione del forte legame tra datore di lavoro e dipendenti.

 

Il pericolo di automazione in Italia

Il volume di Bannò, Filippi e Trento offre per la prima volta una stima dei rischi di disoccupazione per i lavoratori in Italia.
In base ai dati raccolti, una percentuale rilevante di lavoratori italiani è a rischio di sostituzione. Secondo l’occupation-based approach la quota sarebbe del 49%, mentre secondo il task-based approach questa percentuale scenderebbe al 46%.
A livello territoriale, applicando l’occupation-based approach le regioni del Sud Italia sembrerebbero più protette dall’automazione. Una differenza che invece non emerge secondo il task-based approach. 

 

Fonte: Mariasole Bannò, Emilia Filippi e Sandro Trento, Automazione e lavoro. Una ricerca su cambiamento tecnologico e impatto sull’occupazione (Egea, Milano 2023), p. 73

Complessivamente, dalle indagini condotte emerge che la metà della forza lavoro italiana presenta un rischio di sostituzione medio, compreso tra il 30% e il 70%.

 

Fonte: Mariasole Bannò, Emilia Filippi e Sandro Trento, Automazione e lavoro. Una ricerca su cambiamento tecnologico e impatto sull’occupazione (Egea, Milano 2023), p. 74

Si tratta comunque di una stima. Nulla assicura che questa sostituzione di manodopera possa effettivamente verificarsi.
Il processo di automazione dipende da molteplici fattori, che riguardano la disponibilità commerciale e il costo delle tecnologie di automazione, il costo e la regolamentazione del lavoro, nonché le preferenze sociali per i lavoratori umani. Come evidenziano gli autori del volume, occorre inoltre considerare che in Italia la gran parte delle imprese sono familiari. Questa caratteristiche comporta una maggiore attenzione verso le persone per cui, anche dopo l’introduzione di tecnologie di automazione, è ipotizzabile che il personale possa essere salvaguardato attraverso una riorganizzazione delle attività. 

Le opportunità per i lavoratori 

Secondo gli autori, le nuove tecnologie non presentano solo minacce. Esse consentono di delegare le decisioni e favorire lo sviluppo di modelli organizzativi meno gerarchizzati, offrendo l’opportunità di un maggior coinvolgimento dei dipendenti.
L’aumento di produttività è spesso legato alla capacità di reazione dell’impresa ai mutamenti di domanda e di contesto (si pensi alla lean production introdotta dalla Toyota dopo la seconda guerra mondiale). Le nuove tecnologie potenziano la capacità di reazione ai cambiamenti del mercato, ma occorre che i dipendenti siano adeguatamente formati, affinché possano dare un contributo al datore di lavoro nell’intercettare le nuove esigenze dei consumatori e nell’attuare il corretto cambiamento dei processi produttivi.
Allo stesso tempo, come evidenziato nel paragrafo precedente, la cospicua presenza di imprese familiari in Italia è suscettibile di determinare una riorganizzazione delle attività a seguito dell’introduzione delle nuove tecnologie.
Bannò, Filippi e Trento sottolineano dunque la centralità della formazione continua e della riqualificazione dei lavoratori non solo per contrastare le potenziali minacce dell’automazione, ma anche per coglierne le opportunità.