Monopoli, divari di produttività e rimodulazione degli orari. Le sfide del futuro del Lavoro secondo l’Ocse

Le principali sfide di medio e lungo periodo che attendono il mercato del lavoro sono rappresentate dalla crescita dei monopoli, dai divari di produttività tra le aziende e dalla rimodulazione degli orari di lavoro. È quanto emerge dal Rapporto dell’Ocse sullo stato dell’Occupazione nel 2022.
Il Rapporto evidenzia una ripresa del mercato del lavoro dopo due anni di pandemia, sebbene l’orizzonte non sia sereno, a causa delle tensioni stagflazionistiche determinate dalla guerra in Ucraina, che si scaricano soprattuto sulle fasce di reddito più basse, maggiormente sensibili ai rincari dei prezzi dell’energia e degli alimenti.
Le difficoltà dei giovani e dei settori a bassa retribuzione
La ripresa post-pandemica è stata disomogenea. I settori a bassa retribuzione come quelli dell’alloggio e dei servizi di ristorazione sono in ritardo, con un impatto negativo sui rispettivi gruppi di lavoratori.
In generale, i giovani, i lavoratori poco qualificati e sottopagati risultano essere ancora indietro nei dati sulla ripresa del mercato del lavoro in molti paesi.
I livelli di formazione iniziale e di esperienza evidenziano un peso crescente nel futuro professionale delle singole persone. In media, nel primo trimestre del 2022, a due anni dall’inizio della crisi, il tasso di occupazione dei lavoratori con istruzione universitaria era in ripresa, mentre quello dei lavoratori con un basso livello di istruzione era ancora di circa lo 0,5% inferiore rispetto allo stesso trimestre del 2019.
Al tempo stesso, i riflessi della crisi stanno colpendo più duramente i giovani tra i 15 e i 24 anni, il cui tasso di occupazione è ancora inferiore al livello pre-pandemia in più della metà dei paesi dell’OCSE.
Al contrario, il tasso di occupazione dei lavoratori tra i 25 ei 54 anni è in media di 1 punto percentuale superiore rispetto all’epoca pre-pandemia, mentre nella fascia di età compresa tra 55 e 64 anni il tasso di occupazione è superiore di 3 punti percentuali.
In ripresa si segnala invece l’occupazione femminile in tutti i Paesi Ocse, nonostante le donne lavoratrici abbiano rappresentato la categoria più colpita dai riflessi della pandemia.
I mercati del lavoro rimangono rigidi nella maggior parte dei Paesi. Le ultime statistiche suggeriscono che il tasso di disoccupazione è in media di 0,4 punti percentuali al di sotto del livello di febbraio 2020, che a sua volta era il più basso dalla crisi finanziaria globale. Dall’aprile 2020, i Paesi OCSE hanno creato circa 66 milioni di posti di lavoro, 9 milioni in più di quelli distrutti all’inizio della pandemia.
Si tratta di cifre aggregate che nascondono differenze significative. In un certo numero di Paesi, la partecipazione alla forza lavoro e i tassi di occupazione sono ancora al di sotto dei livelli pre-crisi. Inoltre, l’occupazione sta crescendo più sensibilmente nei settori dei servizi ad alta retribuzione (che stanno trainando anche la ripresa dell’occupazione femminile insieme alla sanità e all’istruzione), mentre rimane al di sotto dei livelli pre-pandemia in molti settori a bassa retribuzione e ad alta intensità di contatti interpersonali.
Gli squilibri tra domanda e offerta di lavoro
In tutto l’area OCSE, le aziende si confrontano con una carenza di manodopera senza precedenti. Nell’Unione Europea, ciò accade a 3 imprese su 10. Negli Stati Uniti, nel luglio 2022, i datori di lavoro hanno pubblicato oltre 11 milioni di offerte di lavoro per un pool di meno di 6 milioni di disoccupati. E in quasi tutti i paesi per i quali sono disponibili dati sui posti vacanti, questo divario è in aumento.
Nei 22 paesi dell’OCSE membri dell’Unione Europea e in Turchia, nel secondo trimestre del 2022, la percentuale di imprese nel settore manifatturiero che lamentava carenza di manodopera era, in media, cresciuta di 8,5 punti percentuali (giungendo al 26%) rispetto agli anni pre-pandemia.
Nei servizi, la percentuale di imprese che segnalavano carenza di manodopera era in media del 27,5%, oltre 11 punti percentuali in più.
I dati a livello dell’UE indicano che negli ultimi mesi le difficoltà di assunzione sono state diffuse in tutti i settori, ma sono particolarmente pronunciate in quelli a retribuzione relativamente bassa.
Variazioni percentuali del numero di imprese che segnalano difficoltà di reclutamento per settore dei servizi nei 27 Stati membri dell’UE dal 4° trimestre 2019 al 2° trimestre 2022, destagionalizzato
Il dato evidenzia dunque il manifestarsi di una disaffezione verso alcune tipologie di lavori, che oltre ad essere meno retribuite comportano anche un maggiore impegno fisico, rispetto ad altre tipologie di lavori ritenute più attraenti anche in funzione dei benefici che vi apportano le nuove tecnologie (ad esempio il lavoro da remoto, su cui si tornerà più avanti).
Inoltre, molti paesi intendono utilizzare i piani di ripresa economica per accelerare la digitalizzazione e la transizione verso un’economia “green”, stimolando ulteriormente le trasformazioni strutturali del mercato del lavoro com il rischio di accrescere gli squilibri.
Questa carenza di manodopera non deve essere confusa con l’ondata di “grandi dimissioni” che sta interessando gli Stati Uniti.
Si tratta di un fenomeno che ha raggiunto livelli record nella seconda metà del 2021 per poi rimanere elevato nei primi mesi del 2022, interessando in particolare il settore manifatturiero, il commercio al dettaglio, la finanza e le assicurazioni.
La crescita delle dimissioni non si riflette però in un abbandonano di forza lavoro. Il rapporto occupazione/popolazione negli Stati Uniti ha continuato la sua crescita costante nel primo trimestre del 2022. Il fenomeno nasconde dunque un’elevata mobilità all’interno di settori in un mercato del lavoro ristretto, piuttosto che deflussi significativi da settori specifici a causa di un cambiamento nelle preferenze dei lavoratori.
La concentrazione del mercato del lavoro e la sfida dei monopoli
I capitoli più interessanti del Rapporto sono comunque dedicati alle sfide di medio e lungo periodo.
Tra queste, la concentrazione del mercato del lavoro, in cui solo pochi imprenditori competono per i lavoratori. In questo modo, i datori di lavoro, muovendosi in una situazione di monopolio, possono fissare unilateralmente i salari.
Un’analisi transnazionale, basata sulle offerte di lavoro online in 16 paesi avanzati, rivela che almeno un lavoratore su sei nel settore delle imprese è impiegato in mercati del lavoro concentrati. L’evidenza empirica tende a confermare che la concentrazione influisce negativamente sull’occupazione, riducendo i salari e peggiorando la sicurezza del lavoro.
Quota di occupazione nelle imprese nei mercati del lavoro da moderatamente a altamente concentrati (dati 2019)
Nel grafico riportato dal rapporto OCSE, è interessante notare come l’Italia non figuri tra i Paesi con i più elevati livelli di concentrazione del mercato del lavoro, a causa della numerosa presenza di piccole imprese.
I mercati del lavoro più concentrati riguardano, in media, gli artigiani, gli stampatori, gli operatori sanitari, i lavoratori dell’agricoltura, della silvicoltura e della pesca e i lavoratori dei rifiuti.
Le occupazioni meno concentrate sono rappresentate dai professionisti delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, dagli addetti alle vendite e dai professionisti dell’amministrazione aziendale.
Tuttavia, le professioni meno concentrate non si limitano a quelle altamente qualificate e con salari più elevati. Anche gli addetti alle pulizie e gli assistenti e gli addetti alle vendite figurano tra le occupazioni meno concentrate, probabilmente perché possono scegliere tra numerosi stabilimenti di piccole dimensioni e negozi. A livello territoriale, invece, le aree urbane risultano meno concentrate delle aree geografiche rurali.
Occupazioni che affrontano i mercati del lavoro più e meno concentrati (2019)
Il Rapporto OCSE richiede maggiori sforzi politici per frenare il potere del monopolio nei mercati del lavoro, regolando pratiche anticoncorrenziali come gli accordi tra imprese nella determinazione dei salari e gli accordi di non concorrenza, ma anche ripensando altre politiche del mercato del lavoro, compresi i salari minimi e la contrattazione collettiva.
Inoltre, suggerisce di fornire ai lavoratori maggiori possibilità di occupazione, in modo da sottrarli al potere dell’imprenditore monopolista, attraverso la formazione e riqualificazione professionale e lo sviluppo del lavoro da remoto.
La formazione dei lavoratori per contrastare i monopoli
Le politiche sulla formazione e sulla riqualificazione delle competenze possono svolgere un ruolo importante nell’ampliare le opzioni esterne per i lavoratori.
I lavoratori riqualificati per una diversa occupazione possono cercare lavoro in un mercato allargato rappresentato dalla loro occupazione di origine e dalla nuova occupazione per la quale si sono formati.
Il rapporto Ocse dimostra che consentendo ai lavoratori di cercare lavoro non solo nella occupazione iniziale, ma anche in quelle con il pacchetto di competenze più simili (entro il limite di 6 mesi dalla riqualificazione) è possibile ridurre la concentrazione aggregata del mercato del lavoro del 18%.
Lo sviluppo dello smart-working per ridurre la concentrazione del mercato del lavoro
La pandemia ha diviso i lavoratori in tre gruppi: coloro che hanno potuto lavorare da casa, coloro che si sono trovati disoccupati o con orari di lavoro ridotti e coloro che hanno continuato a lavorare in presenza e a contatto con altre persone.
A più di due anni dall’inizio della pandemia, la dicotomia tra chi deve lavorare in presenza e chi può lavorare da casa è ancora attuale.
I lavoratori da remoto si trovano in mercati del lavoro meno concentrati. In media, il 9% dei lavoratori con professioni che possono essere svolte da remoto si trovava in mercati ad alta concentrazione alla vigilia della pandemia, rispetto all’11% degli altri lavoratori.
I lavoratori da remoto si muovono così in un mercato del lavoro più ampio della semplice zona di vita locale. Ciò ha il potenziale per ridurre ulteriormente il potere di monopolio dei datori di lavoro locali e aumentare il potere contrattuale dei lavoratori.
Quota di occupazione nei mercati del lavoro altamente concentrati nel settore delle imprese in base al fatto che l’occupazione sia suscettibile di telelavoro
In questo senso, lo sviluppo del lavoro da remoto e le politiche di formazione e riqualificazione professionale si mostrano come assi portanti per favorire la mobilità del lavoro e dunque l’innalzamento dei salari.
Politiche per le imprese al fine ridurre gli squilibri salariali
La seconda sfida di medio e lungo periodo evidenziata dal rapporto riguarda il rapporto tra produttività aziendale e squilibri salariali.
Circa un terzo della disuguaglianza salariale complessiva può essere spiegata dalle differenze nelle pratiche di determinazione dei salari tra le imprese piuttosto che dalle differenze di livello e dai rendimenti delle qualifiche dei lavoratori.
I divari salariali tra le imprese, a loro volta, riflettono differenze di produttività, ma anche disparità nel potere di determinazione dei salari. Per affrontare la disuguaglianza salariale elevata e in alcuni casi crescente, le politiche incentrate sui lavoratori (ad esempio formazione e riqualificazione professionale) devono essere integrate con politiche orientate all’impresa. Ciò comporta, in particolare:
- lo sviluppo di politiche che aiutino le imprese in ritardo a recuperare i livelli di produttività delle imprese leader;
- la promozione della mobilità professionale tra imprese;
- il contrasto dei monopoli nei mercati del lavoro.
Secondo il rapporto OCSE, affrontare i divari di produttività tra le imprese non solo aumenterebbe la crescita, ma ridurrebbe anche le disuguaglianze in termini di salari tra lavoratori.
La rimodulazione dell’orario di lavoro
Collegato allo sviluppo dello smart-working è il tema della rimodulazione dell’orario di lavoro. A tal proposito, il Rapporto dell’Ocse esamina diverse opzioni per migliorare gli aspetti non materiali del benessere dei lavoratori come la salute, l’equilibrio tra lavoro e vita privata e la soddisfazione della vita preservando l’occupazione e la produttività.
L’attenzione si concentra su tre possibilità: lo sviluppo dello smart-working, la riduzione dell’orario di lavoro e la concesssione di una maggiore flessibilità in ufficio.
Il legame tra lavoro da remoto e benessere immateriale dei lavoratori varia a seconda dei risultati e dei Paesi. Il Rapporto riporta un’associazione negativa con l’autovalutazione della salute, ma associazioni positive con la soddisfazione per la vita e il lavoro e associazioni contrastanti con l’equilibrio tra lavoro e vita privata. Per quanto riguarda la produttività e l’occupazione, le associazioni con il lavoro da remoto risultano positive.
Per quanto riguarda la riduzione dell’orario di lavoro, a condizione che sia attentamente progettato e attuato, i dati riportati dal Rapproto OCSE suggeriscono che potrebbe migliorare il benessere dei lavoratori senza effetti negativi sull’occupazione e sulla produttività.
Per quanto riguarda la flessbilità oraria, il Rapporto suggerisce come esso possa rappresentare un mezzo efficace per incentivare la fedeltà aziendale delle donne con figli, consentendole di conservare l’occupazione e il livello di competenze. Anche le stime esistenti per gli effetti salariali dell’orario flessibile tendono ad essere positive, ma indicano i rischi di aumentare le differenze di genere e i divari retributivi preesistenti, qualora tale soluzione non fosse accompagnata da misure di contrasto volte a rafforzare il potere contrattuale femminile nei confronti dei datori di lavoro.