Occupazione: le donne sono precarie, mal retribuite e hanno meno ruoli manageriali

Esistevano già prima del lockdown degli squilibri nel mondo del lavoro tra uomo e donna, ma l’emergenza sanitaria ha finito per ampliare i dati dell’occupazione. La scelta dello smart working è stata fatta maggiormente dalle lavoratrici, dove non resa necessaria dalla situazione. Meno donne, quindi, sul posto di lavoro per le aziende che non hanno potuto chiudere.

Come il lockdown ha pesato sulle lavoratrici

Ma il lavoro svolto tra le mura di casa ha visto le donne impegnate anche sul fronte figli e sulla cura della casa, con poco aiuto da parte dei partner che hanno lavorato nelle stesse condizioni. Secondo una ricerca condotta da Episteme e pubblicata su lavoce.info, infatti, il 68% delle donne ha dedicato più tempo ai lavori domestici durante la pandemia da Coronavirus, mentre solo il 40% degli uomini ha fatto lo stesso.

In questi mesi lo Stato ha dato e sta dando sostegno alle famiglie con congedi parentali, bonus per baby-sitting o per il pagamento di centri estivi. Ma in generale per il futuro bisognerà prevedere un sostegno fisso per tutte le madri che lavorano, consentendo anche orari più flessibili, maggiori servizi o il telelavoro, e tutto questo proprio per fare in modo che in Italia la percentuale di donne impiegate possa salire come nel resto d’Europa.

Il documento sul lavoro femminile

Precario, meno retribuito e minor accesso alle figure manageriali. È questa la fotografia che rappresenta il lavoro femminile in Italia che si può leggere nel documento “Misure a sostegno della partecipazione delle donne al mercato del lavoro e per la conciliazione delle esigenze di vita e di lavoro”, portato all’attenzione della Commissione Lavoro della Camera nei mesi scorsi da Linda Laura Sabbadini, direttore della Direzione centrale per gli studi e la valorizzazione tematica nell’area delle statistiche sociali e demografiche dell’Istat.

Occupazione donne, smart working e ruoli

I dati della relazione sul lavoro femminile

Nell’arco di circa 40 anni (più o meno dalla fine degli anni ’70 ad oggi) il divario di genere nei tassi di occupazione tra uomini e donne in Italia è diminuito da 41 punti a 18, ma rimane comunque uno dei dati più in alti in Europa, dove la media è di 10 punti.

La situazione mostra poi una netta differenza tra nord e sud Italia: nel 2018 infatti nel Mezzogiorno solo poco più del 32% delle donne tra i 15 e i 64 anni lavora, nelle regioni settentrionali tale percentuale sfiora il 60%.

Le donne che lavorano, poi, sono per un terzo impiegate part time, un numero di molto inferiore rispetto agli uomini (32,7% contro 8.7%). «L’incidenza delle occupate part time è più elevata tra le più giovani (35,1% fino a 34 anni) e cresce al diminuire del titolo di studio (42,6% fino alla licenza media e 22,5% tra le laureate)» si legge nel testo redatto dall’Istat. Inoltre il part time è più diffuso nei lavori presso alberghi e ristoranti, ma anche nei servizi alle famiglie. Sono aumentate le libere professioniste, in particolare: avvocate, psicologhe, tecniche della gestione finanziaria e contabili.

Donne: il titolo di studio non basta

Nel nostro paese sono tanti gli occupati con un titolo di studio superiore a quello richiesto per la mansione da svolgere. Ma anche in questo caso le donne sono le più penalizzate e faticano a trovare un lavoro adeguato al percorso di studi portato a termine. Eppure hanno un’istruzione più elevata degli uomini, ma questo non porta a un cambiamento nei tassi di occupazione: le laureate hanno una professione consona al titolo di studio nel 67% dei casi, contro il 79% degli uomini.

Nel documento Istat si legge: «In Italia, circa 1 giovane tra i 25 e i 34 anni su 100 ha conseguito un titolo di dottorato. In Europa i valori oscillano tra il 2,3 di Danimarca e Germania e lo 0,2 di Malta. Come per la laurea, nel nostro Paese, il divario di genere è a favore delle donne che rappresentano circa il 54% dei dottori di ricerca, questo risultato è condiviso con pochi paesi (Slovenia, Slovacchia, Spagna, Lettonia e Cipro)».

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Occupazione rosa: mansioni e retribuzione

Differenze di genere si ritrovano anche nelle mansioni e nella retribuzione percepita dalle donne rispetto agli uomini. Ad esempio il 65,7% delle donne ha mansioni di ricerca e sviluppo contro il 74,4% degli uomini, ma sono più inserite nell’istruzione non universitaria (21,3% contro 12,3%, quella universitaria è appannaggio più degli uomini), nella PA e nella sanità (19% contro 15,3%).

Le donne non hanno nemmeno pari opportunità di carriera, sono poco presenti nei ruoli apicali di Enti locali, Ministeri e Scuola e come manager di grandi aziende, ma sono in aumento le donne magistrato (oltre il 50%) e coloro che entrano in politica. Infine le donne guadagnano di meno dei colleghi uomini. Qualche esempio? «I divari sono più ampi nelle fasce di età over 45 (28,5 tra i 45 e i 54 anni e 26,1 per i percettori over 55), per le laureate, che guadagnano quasi un terzo in meo dei laureati (20.172 contro 29.698), e nelle regioni del Nord (27,5% al Nord-ovest e 28,3% al Nord-est). Nei redditi da lavoro autonomo queste considerazioni rimangono altrettanto valide ma i gap risultano maggiori».