Quasi centomila le imprese a rischio. E intanto i prezzi al consumo aumentano

Imprese in difficoltà e cittadini ai presi con un significativo aumento del costo della vita. È questo il quadro che emerge a luglio, nel pieno di una serie di crisi – economica, politica, energetica, ambientale – che rischiano di minare la ripresa e la fiducia delle famiglie. 

Sul fronte del tessuto imprenditoriale italiano, la notizia è che a inizio luglio l’Osservatorio Rischio Imprese di Cerved ha pubblicato un dossier nel quale si sottolinea come tra il 2021 e il 2022 le società a rischio di default siano cresciute quasi del 2%, passando dal 14,4% a poco più del 16% e raggiungendo le 99.000 unità, con 11 miliardi di euro in più di debiti finanziari ora pari a 107 miliardi (10,7% del totale). Una fotografia che preoccupa gli analisti. Se poi si considerano anche le società cosiddette vulnerabili, che nel triennio 2019-2022 sono passate dal 29,3% (181.000) al 32,6% (201.000), i debiti finanziari crescono di altri 195,8 miliardi di euro (+28 miliardi), pari al 19,5% del totale. Sul fronte dell’occupazione, si tratta di oltre 3 milioni di lavoratori, quasi 1 su 3 (30,5%), impiegati in società fragili: infatti, agli 831.000 addetti delle imprese a maggior rischio (l’8,5%, +129.000 persone rispetto al 2021), vanno aggiunti gli oltre 2,1 milioni che lavorano in società considerate vulnerabili. Le imprese fragili si trovano soprattutto al Sud, dove costituiscono addirittura il 60,1% del totale, aggravando il già ampio gap con il Nord del Paese: le province con i peggioramenti più significativi sono infatti Isernia, il Sud della Sardegna, Matera, Foggia e Cagliari (ma anche Roma), mentre quelle con la maggiore quota di aziende a rischio sono Crotone, Terni, la stessa Isernia, Reggio Calabria, Messina, Siracusa e Cosenza. 

Il quadro non è più positivo sul fronte dei consumi delle famiglie con una stima di incremento dei prezzi pari all’8% secondo l’Istat. L’accelerazione dell’inflazione nel secondo trimestre del 2022 è determinata in buona parte dai beni energetici ma coinvolge anche beni come gli alimenti e, in misura più contenuta, i servizi. L’ulteriore accelerazione della crescita dei prezzi al consumo si deve prevalentemente da una parte ai prezzi dei beni energetici e dall’altra a quelli dei beni alimentari, dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona e dei servizi relativi ai trasporti.

Un aumento di tale portata che non si registrava dal 1986 rischia di far diminuire considerevolmente i consumi, mettendo in difficoltà le aziende che contavano su una fase espansionistica dell’economia per recuperare gli introiti perduti negli ultimi due anni e rafforzare la propria presenza sul mercato.