Valorizzazione del capitale umano e recupero dell’ambiente costruito per la rigenerazione di aree spopolate e la riduzione dei divari territoriali. Quali opportunità dall’innovazione tecnologica

Il recupero del patrimonio costruito attraverso le nuove tecnologie rappresenta un’opportunità per rilanciare lo sviluppo dei borghi e delle aree interne, autentiche depositarie delle tradizioni culturali e degli ingredienti del successo del Made in Italy.
È quanto emerge dal seminario telematico “Valorizzazione del capitale umano e recupero dell’ambiente costruito per la rigenerazione di aree spopolate e la riduzione dei divari territoriali. Quali opportunità dall’innovazione tecnologica?”, organizzato il 19 dicembre dall’Osservatorio sulle trasformazioni del lavoro e della formazione continua promosso da FondItalia e CNR-ISEM (Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea).
Il seminario, moderato dal prof. Roberto Rossi dell’Università degli Studi di Salerno, è stato tenuto da Stefania Oppido e Martina Bosone, ricercatrici del CNR-IRISS (Istituto di Ricerca su Innovazione e Servizi per lo Sviluppo).
L’incontro ha preso le mosse dal processo di spopolamento che interessa i numerosi borghi e le cosiddette aree interne d’Italia. Come ha ricordato Roberto Rossi, in questi territori, la perdita di capitale umano si riflette in un progressivo aumento di patrimoni dismessi o sottoutilizzati, oltre che in una squilibrata ripartizione delle risorse a favore dei centri urbani. Si tratta di un fenomeno mondiale. L’associazione degli geologi della California, ad esempio, ha riferito come il consumo idrico dell’intero Stato si concentri nelle città di Los Angeles e San Francisco, lasciando a secco il resto dei territori. Ne emerge dunque la necessità di riequilibrare il rapporto tra città e aree rurali e interne. La rivoluzione digitale in corso e i fondi del Piano Nazione di Ripresa e Resilienza (PMRR), possono favorire questa inversione di tendenza.
L’intervento di Stefania Oppido si è collocato nel quadro di una ricerca congiunta condotta da ricercatrici del CNR-IRISS e del Dipartimento di Architettura dell’Università di Napoli “Federico II”, seguendo un approccio place-based e sistemico, che indaga iniziative di recupero e valorizzazione del patrimonio costruito (in particolare non utilizzato o sottoutilizzato) generate dall’innovazione tecnologica. L’obiettivo è analizzare le possibili ricadute in termini di valorizzazione di risorse umane, sviluppo di competenze e rigenerazione del contesto territoriale.
Stefania Oppido ha indicato due premesse da cui muove il progetto di ricerca. In primo luogo, il paesaggio è considerato un fattore di sviluppo economico e sociale. In secondo luogo, il concetto di “perifericità” non è da indagare solo attraverso una dimensione fisica (difficoltà di raggiungere i territori interessati), ma soprattutto socio-economica: le aree marginali sono escluse dai principali circuiti economici, culturali e sociali nazionali e internazionali. Attraverso le nuove tecnologie è però possibile ricostruire un collegamento tra i territori periferici e i centri motori di sviluppo.
In questo senso, la pandemia da Covid-19 ha giocato un ruolo importante. Da un lato ha reso ancor più evidenti le disuguaglianze tra centri urbani e aree periferiche, ad esempio in merito al divario digitale. Al tempo stesso, ha segnato anche un momento di rientro nei territori d’origine da parte di molte persone forzata al lavoro da remoto.
In base ad un’indagine condotta dall’Associazione “South-Working lavorare dal Sud” e dalla Svimez, l’85,3% dei lavoratori intervistati, originari del sud, desidererebbe poter lavorare da remoto dalla propria terra, per una molteplicità di ragioni (costo della vita inferiore, qualità della vita, condizioni climatiche, vicinanza alla famiglia d’origine, possibilità di un supporto nella gestione familiare, reti sociali di amicizia ecc.). Tuttavia, questi lavoratori richiedono condizioni che attualmente mancano, a livello di servizi, infrastrutture e trasporti.
La Oppido ha dunque sottolineato come vi sia una domanda di rientro nei territori di origine, che può rappresentare un’opportunità per il recupero di aree che consideriamo periferiche ma dove nasce il 92% dei prodotti di eccellenza italiani riconosciuti a livello europeo, secondo il Rapporto Coldiretti/Symbola 2018.
È necessario tuttavia un ripensamento del ruolo dei borghi e delle aree interne, in rapporto ai centri urbani e al sistema territoriale in cui si inseriscono, in termini di servizi e attività che possono offrire.
Anche in questo caso, l’esperienza della pandemia offre alcuni esempi. A seguito del fenomeno del rientro nelle terre d’origine registrato nel periodo del lockdown, sono emerse reti e network di lavoratori e professionisti che, sfruttando la possibilità del lavoro da remoto, hanno messo a frutto le conoscenze acquisite altrove, attivando sinergie suscettibili di promuovere processi innovativi di sviluppo.
Ne è un esempio l’Associazione South Working costituita da giovani professionisti, imprenditori e ricercatori, i quali hanno costituito dei “presidi di comunità”, vale a dire spazi di collaborazione, innovazione e dialogo, in grado di stimolare la ripresa e la modernizzazione dei territori interessati, anche attraverso il confronto con le istituzioni locali. L’associazione ha concepito la South Working eCard, che consente di accedere ad un ampio spettro di servizi, che vanno dalla formazione alla ristorazione fino al noleggio auto.
Tra i presidi di comunità figura il South Working Castelbuono, che rappresenta il primo spazio di coworking in un parco naturale (quelle delle Madonie). Sfruttando le possibilità offerte dal lavoro da remoto, il presidio di Castelbuono ha l’obiettivo di mettere in sinergia una molteplicità di professionisti e lavoratori, attraverso la prossimità fisica e lo scambio di esperienze e competenze.
La digitalizzazione e l’innovazione tecnologica, incanalate in una prospettiva sistemica, sono dunque in grado di attivare processi di crescita a favore delle aree interne.
Ne è un esempio la piattaforma “Smace”, che offre a aziende e professionisti indicazioni in merito alle migliori località – con una sezione dedicata nello specifico ai borghi – dove lavorare da remoto, contribuendo al recupero dei luoghi sottoutilizzati. Sulla stessa scia si colloca la piattaforma “Eco bnb”, che unisce il tema dell’innovazione tecnologica con quello della transizione ecologica, suggerendo borghi e aree dove lavorare a distanza.
Martina Bosone ha richiamato l’attenzione sull’importanza di stabilire un collegamento tra queste esperienze attivate dal basso e gli obiettivi delle istituzioni, attraverso un approccio sistemico che tenga insieme diverse dimensioni: economica, sociale, culturale e ambientale. La dimensione culturale condivisa da un territorio, per riprendere un concetto espresso da Walter Santagata, diviene strategica per seguire questo approccio sistemico e orientare i network creati dall’innovazione tecnologica.
Nel corso del dibattito, Alessandro Albanese (Università per Stranieri di Perugia) ha sottolineato l’importanza del capitale naturale come fattore di modernizzazione e crescita economica, anche alla luce degli sviluppi della bioeconomia. Marco Zaganella (Università degli studi dell’Aquila), ha invece ricordato come l’interazione tra soggetti costituisca il principale canale di propagazione dei processi di innovazione. Si tratta dello stesso “segreto del successo” che aveva favorito l’emergere della “Terza Italia” e dei distretti industriali italiani. Anche in quel caso l’interazione tra piccole e medie imprese era stata capace di promuovere processi di sviluppo espressione della “cultura” dei territori interessati, come hanno evidenziato gli studi di Giacomo Becattini e Carlo Trigilia. La ricerca di Stefania Oppido e Martina Bosone procede sulla stessa linea, aggiornandola alle opportunità offerte oggi dalle nuove tecnologie.
Francesco Martire ha evidenziato la scarsa coesione tra i singoli territori che compongono le aree interne, ricollegandosi alla necessità di ripensare il ruolo di ciascun borgo in rapporto al sistema territoriale complessivo. Inoltre, suggerisce di riflettere su una riduzione delle tasse, in particolare dell’aliquota Irpef, per i residenti delle aree interne, al fine di ripopolarle.
Gaetano Sabatini, direttore dell’ISEM-CNR, ha ricordato il rapporto controverso tra aree interne e innovazione tecnologica. Alla fine dell’Ottocento la rivoluzione dei trasporti, con la comparsa delle ferrovie, determinò l’inizio del loro spopolamento. Oggi l’innovazione tecnologica offre la possibilità di un processo inverso. Inoltre, ha ripercorso la genesi della Strategia Nazionale per le Aree Interne, lanciata dal ministro per la Coesione Territoriale Fabrizio Barca a seguito del terremoto dell’Aquila. Quella strategia conteneva molti elementi ripresi dai relatori nel corso del seminario. Tra questi la necessità di coinvolgere nell’elaborazione dei processi di sviluppo una pluralità di soggetti. In secondo luogo, la caratteristica agro-pastorale delle aree soggette a spopolamento. Una caratteristica che se dalla fine del XIX secolo ha rappresentato nell’Europa mediterranea un fattore di emigrazione verso i centri urbani industrializzati, oggi contiene potenziali elementi di sviluppo, alla luce della transizione digitale ed ecologica.
Ricollegandosi alla Strategia Nazionale per le Aree Interne, Stefania Oppido ha sottolineato come il suo impianto rimanga tuttora valido, ma necessiti di un aggiornamento. Il PNRR intende stimolare la valorizzazione delle aree interne e dei borghi, la digitalizzazione e la realizzazione di ecosistemi, anche in funzione della transizione ecologica. Ritiene dunque necessario aggiornare la Strategia Nazionale per le Aree Interne seguendo un approccio sistemico, individuando strategie di connessione dei borghi con le aree urbane e riconoscendone il loro specifico ruolo.
Nicola Fontanarosa (Confimi Edilizia) si è ricollegato alla necessità di coinvolgere nell’elaborazione di processi di sviluppo una pluralità di soggetti, ricordando l’esperienza che ha portato Matera ad ottenere il titolo di capitale europea, partendo da un bando regionale PIOT (Pacchetti Integrati di Offerta Turistica) a cui la città si candidava, nel 2009, come capofila di un progetto concepito dal basso e che coinvolgeva 14 enti culturali, 13 soggetti economici e 13 istituzionali.
Infine, Egidio Sangue, vicepresidente di FondItalia, ha ricordato come i territori periferici siano i veri depositari del patrimonio culturale e delle tradizioni enogastronomiche su cui si fonda il successo economico del Made in Italy. Le innovazioni tecnologiche rappresentano l’elemento iniziale per favorire processi di recupero e sviluppo di questi territori, ma è necessario individuare le opportunità che essi possono offrire per il ripopolamento umano e produttivo. Anche perché la rarefazione della presenza umana e produttiva disincentiva gli investimenti in infrastrutture.
Al ripopolamento di questi territori può contribuire anche il Fondo Nuove Competenze, che nel 2023 mette a disposizione 1 miliardo di euro a beneficio delle imprese che intendono formare i propri dipendenti sulla transizione digitale ed ecologica.
Fonditalia potrà giocare un ruolo importante per favorire processi suscettibili di rilanciare le aree interne sia perché può cofinanziare i progetti formativi del Fondo Nuove Competenze, sia perché ha in procinto un accordo con gli Stati Generali del Patrimonio, al fine di realizzare una serie di eventi che individuano nel patrimonio materiale e immateriale un volano di sviluppo economico e occupazionale per i borghi e le aree periferiche.